Lesioni personali

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Il reato di lesioni personali è un reato di evento, per cui può essere commesso:

  • con qualunque mezzo in grado di sottoporre la persona altrui ad una violenta manomissione;
  • con una condotta priva di violenza fisica, ma in grado di cagionare malattia: inciampo in una buca sul marciapiede; responsabilità da cosa in custodia; omissione; contagio; emissione di fumi industriali insalubri; ecc.

Il soggetto vittima di lesioni personali ha diritto ad ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti, sia di natura patrimoniale, sia di natura non patrimoniale.

Se ritieni di aver subito lesioni personali, qualunque sia l’entità delle stesse, in conseguenza di un comportamento doloso o colposo altrui e intendi chiedere un risarcimento per i danni subiti, o se ti è stato richiesto un risarcimento per aver causato un danno in considerazione di un tuo comportamento, è consigliabile rivolgersi tempestivamente ad un legale.

Un Avvocato specializzato nella materia può guidarti attraverso le complessità del sistema legale e trovare le soluzioni più opportune ed utili ad ottenere il giusto risarcimento.

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Approfondimenti

 

Cosa si intende per lesioni personali

Il reato di lesioni personali è un delitto contro la persona e consiste nel cagionare ad alcuno una lesione, dalla quale derivi una malattia fisica o psichica (art. 582 c.p.).

La giurisprudenza ha definito che nella nozione di malattia rientrano “tutte le alterazioni anatomiche da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa” (Cass. n. 40428/2009).

Per nozione di malattia si intende quindi un’alterazione anatomica che comporti una riduzione significativa di funzionalità e alla quale segue una fase successiva di recupero.

In base alla prognosi, le lesioni personali sono classificate in:

  • lievissime: prognosi fino a 20 giorni;
  • lievi: prognosi tra 21 e 40 giorni;
  • gravi: prognosi superiore ai 40 giorni; o lesioni che hanno messo in pericolo la vita del soggetto leso; o lesioni che hanno provocato un indebolimento permanente di un senso o un organo;
  • gravissime: lesioni che hanno provocato una malattia che certamente o probabilmente sarà inguaribile; o hanno determinato la perdita di un senso, di un organo, di un arto, una disfunzione grave della parola, uno sfregio o una deformazione permanente del volto, la perdita della capacità di procreare.

Le lesioni personali si distinguono in:

  • lesioni personali dolose (se commesse volutamente, ossia con l’intenzione di fare del male alla vittima);
  • lesioni personali colpose (se avvengono involontariamente. Il responsabile risponde a titolo di colpa a causa di un comportamento imprudente, negligente o imperito).

Lesioni personali dolose

L’elemento soggettivo richiesto di cui all’art. 582 c.p. è il dolo.

Si tratta di un dolo “generico”, quindi consistente nella consapevolezza che la propria condotta possa provocare danni fisici alla persona offesa; non è necessario che la volontà del soggetto agente sia diretta a produrre determinate conseguenze lesive.

Il soggetto agente può essere chiunque e può aver agito con qualsiasi mezzo, sia mediante una condotta attiva, sia mediante una condotta omissiva priva di violenza fisica (privare qualcuno di un bisogno primario come il cibo ecc..).

Lesioni personali colpose

Il reato di lesioni personali colpose è previsto dall’art. 590 c.p. e punisce chi, tenendo una condotta negligente, imprudente o imperita (colpa generica), oppure in violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica), cagioni involontariamente ad un’altra persona una malattia nel corpo o nella mente. Si può trattare per esempio di

Il reato di lesioni personali colpose si può configurare anche quando il titolare della posizione di garanzia non abbia evitato il verificarsi di un danno che aveva il dovere di impedire, come ad esempio:

  • il titolare di un’attività commerciale;
  • un dirigente scolastico;
  • l’amministratore di condominio;
  • il proprietario di un animale;
  • il gestore di un impianto sportivo.

Il reato di lesioni personali è procedibile a querela della persona offesa se la malattia ha una durata non superiore ai 20 giorni, da sporgere nel termine di 3 mesi dal fatto.

In questo caso la competenza è del Giudice di Pace.

Gli altri casi sono procedibili d’ufficio, possono quindi essere denunciati da chiunque ne venga a conoscenza e la competenza spetta al tribunale in sede monocratica.

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Risarcimento danni per lesioni personali

Per il risarcimento dei danni causati da lesioni personali si fa riferimento all’art. 2043 che stabilisce: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

La persona danneggiata, quindi, può chiedere il risarcimento del danno seguendo due differenti strade:

  • Avviando una causa civile;
  • Tramite la costituzione di parte civile nel processo penale. L’entità e la liquidazione del risarcimento potranno essere stabiliti direttamente dal giudice penale in sentenza, oppure quest’ultimo potrà rimettere la quantificazione al giudice civile nella sua sede.
  • Il risarcimento del danno per lesioni personali può essere di natura patrimoniale e di natura non patrimoniale.
  • Il danno di natura non patrimoniale viene risarcito al soggetto leso sulla base di una valutazione medico legale che certifica:
  • l’inabilità temporanea (il periodo della malattia);
  • l’invalidità permanente (le conseguenze derivate dalle lesioni subite che avranno ripercussioni sulla vita futura del soggetto danneggiato).

Per la quantificazione del danno non patrimoniale, generalmente si seguono le tabelle del Tribunale di Milano, in base alle quali è possibile dare un valore monetario alla percentuale di invalidità permanente ed inabilità temporanea.

Sebbene si tratti di una quantificazione equitativa e quindi uguale per tutti, lascia comunque al giudice la facoltà di poter disporre una personalizzazione del danno biologico non patrimoniale, ossia un aumento del risarcimento in funzione del caso esaminato. Ad esempio una lesione alle mani ha conseguenze peggiori per chi svolge lavori manuali rispetto a chi svolge lavori intellettuali.

Il danno di natura patrimoniale riguarda la sfera economica del soggetto danneggiato e fa riferimento alle spese sostenute per pagare le cure e alla riduzione della sua capacità lavorativa. Pertanto, sono risarcibili sia il lucro cessante sia il danno emergente.

Sia quando un soggetto si trova nelle condizioni di poter richiedere un risarcimento dei danni per le lesioni personali subite, sia, viceversa, quando un soggetto ha causato un danno e si trova nelle condizioni di dover resistere alla domanda di risarcimento per le lesioni personali causate, è sempre consigliabile farsi assistere da un avvocato specializzato nella materia.

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Lesioni personali cagionate da cose in custodia

La responsabilità per il “danno cagionato da cosa in custodia” è disciplinato dall’art. 2051 del Codice Civile, che recita: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Il rapporto di custodia si configura quando un soggetto ha la disponibilità giuridica e materiale del bene, con potere di intervento su di esso (Cass. Civ., sez. III, 18/09/2014, n. 19657).

Quindi si considera custode chi, di fatto, ha la disponibilità del bene e ne detiene il potere di vigilanza e controllo e pertanto ha il dovere di custodirlo in modo da non arrecare danno a terzi.

Alla luce di questa definizione, il soggetto può essere ad esempio:

  • la Pubblica amministrazione;
  • un condominio;
  • il gestore di un impianto sportivo;
  • il titolare di un pubblico esercizio;
  • il responsabile di un plesso scolastico.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo, ovvero prescinde dall’accertamento del dolo o della colpa.

Perché possa configurarsi è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, non rilevando in alcun modo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.

La circostanza che il custode sia stato diligente non esclude la sua responsabilità per il danno causato dal bene che ha in custodia, in quanto “la funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa” (Cass. Civ., sez. III, 2.2.2006, n. 2284; Cfr. anche Cass. n. 25243 del 29.11.2006 e Cass. n. 1948 del 10.02.2003).

Sarà onere del danneggiato provare il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno subito, nonché dell’esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa.

Il custode, per sottrarsi a tale responsabilità, ha l’onere di provare l’esistenza del caso fortuito, ossia l’esistenza di una causa imprevista ed inevitabile estranea alla sua condotta e idonea a interrompere il nesso causale tra la cosa custodita e l’evento dannoso.

Questo può includere eventi naturali di eccezionale intensità, come terremoti, alluvioni o azioni di terzi, che interrompono il nesso causale tra la cosa e il danno prodotto.

In assenza sarà ritenuto responsabile del danno causato dal bene che ha in custodia, a prescindere dalla negligenza o meno del suo comportamento.

Il caso fortuito può essere integrato anche dalla condotta del danneggiato, che, attraverso un comportamento negligente o imprudente, può aver contribuito al verificarsi dell’evento dannoso.

Può succedere infatti che la “cosa” abbia cagionato il danno, ma che lo stesso si sarebbe potuto evitare, o avrebbe avuto conseguenze meno gravi, se il danneggiato si fosse adeguato a regole di comune prudenza o diligenza.
In questi casi il risarcimento del danno può essere ridotto proporzionalmente alla quota di colpa che gli viene attribuita, fino ad escludere la responsabilità del custode nel caso il giudice dovesse accertare che il danno si è verificato per la sola negligenza o imprudenza del danneggiato.

L’art. 1227 C.C. dispone che “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità̀ delle conseguenze che ne sono derivate”:

Si considerano cose in custodia anche i beni pubblici e quindi la responsabilità di cui all’art. 2051 trova applicazione anche nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni subiti dal cittadino a causa dell’omessa o insufficiente manutenzione di tali beni (buche o altre irregolarità del manto stradale, strutture ecc…).

La giurisprudenza però ritiene che tale responsabilità sussiste solo se i beni sono “custodibili”.

Pertanto, qualora la custodia della cosa si rivelasse impossibile (per esempio le strade extraurbane in aperta campagna), nei confronti della P.A. non si configurerebbe una responsabilità oggettiva, bensì una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 del cod. civ., proporzionale all’effettivo grado di colpa.

In questo caso incomberebbe sul danneggiato l’onere di provare, oltre al danno e al nesso di causalità, anche l’esistenza di una situazione insidiosa.

La casistica dei danni cagionati da cose in custodia è molto ampia e nell’ipotesi in cui si ritenesse responsabile il custode per non aver tenuto un comportamento in linea con i parametri di diligenza richiesti, è possibile richiedere il risarcimento dei danni subiti.

Il soggetto che intenda agire in giudizio per ottenere il relativo risarcimento, avrà dunque l’onere di dimostrare:

  • l’esistenza e l’entità del danno;
  • l’esistenza del rapporto di custodia tra il bene e il soggetto responsabile;
  • il nesso di causalità tra la cosa custodita e l’evento dannoso.

Il custode quindi, al fine di evitare o ridurre l’entità del risarcimento, dovrà dimostrare che la condotta del danneggiato sia stata la causa esclusiva o concorrente dell’evento dannoso.

 

Risarcimento danni per buca stradale

Percorrendo una strada quali pedoni o alla guida di una vettura, una motocicletta, una bicicletta o un monopattino, può capitare di imbattersi in una buca, o altro dissesto, presente sul manto stradale o sul marciapiede che provoca danni alla persona o al mezzo.

Qualora si riportasse un danno a causa della scarsa manutenzione stradale, l’Ente proprietario, che a seconda dei casi può essere il Comune, la Provincia, la Regione o un soggetto diverso a cui è affidata la gestione, può essere ritenuto responsabile ed essere chiamato a rispondere del danno.

L’Ente proprietario infatti ha l’obbligo giuridico di custodire ed eseguire una corretta manutenzione, al fine di garantire la sicurezza della strada ed evitare l’insorgenza di una situazione di pericolo per chi vi transita.

I riferimenti normativi in merito sono due:

  • l’art. 2043 del Codice Civile (“Risarcimento per fatto illecito”), che sancisce: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
  • l’art. 2051 del Codice Civile (“Danno cagionato da cosa in custodia”), che recita: “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”

A questi si aggiunge l’art. 14 del Codice della Strada, che prevede l’obbligo per gli enti proprietari di provvedere alla manutenzione delle strade e delle rispettive pertinenze.

Pertanto, se una buca o altro dissesto stradale dovesse causare un danno, la responsabilità è dell’Ente proprietario (o del gestore) che ha il dovere di “custodia” e quindi l’obbligo di provvedere ad un’adeguata manutenzione e alla segnalazione di un possibile pericolo.

L’Ente sarà chiamato a rispondere dei danni arrecati, a meno che lo stesso non dia prova del caso fortuito per quanto accaduto, ossia un evento imprevedibile ed inevitabile e non riconducibile alla sua responsabilità.

Al fine di ottenere il risarcimento per i danni (alle cose o alle persone) subiti in conseguenza dell’inadeguata manutenzione, il danneggiato è tenuto a fornire la prova del danno e del suo rapporto di causalità, ovvero che il danno derivi dalla cosa in custodia.

L’Ente gestore, al fine di respingere la richiesta di risarcimento, è tenuto a dimostrare che il fatto dannoso è avvenuto per caso fortuito, ovvero per cause non conoscibili nè tempestivamente eliminabili o segnalabili agli utenti della strada, neanche con la più diligente attività di controllo e manutenzione.

Il caso fortuito potrebbe anche consistere nella condotta imprudente dello stesso danneggiato. Si pensi per esempio al conducente che non rispetta i limiti di velocità o guarda il cellulare mentre è alla guida o al pedone che cammina distrattamente.

In sostanza il caso fortuito sussiste qualora si accerti che il danno era evitabile e con ogni probabilità non si sarebbe verificato usando l’ordinaria diligenza.

Di conseguenza una eventuale imprudenza di chi percorre il tratto stradale può diventare determinante nella esclusione della responsabilità dell’Ente gestore e il diritto al risarcimento potrebbe essere ridotto se non addirittura escluso.

Ai fini del risarcimento dei danni riportati a causa di una buca o altro dissesto stradale, la giurisprudenza ha più volte chiarito che per averne diritto è necessario che ricorrano determinate condizioni.

È stato infatti stabilito, che, affinché vi sia la responsabilità dell’Ente gestore della strada, il danno deve essere provocato da un’insidia, ovvero nell’ipotesi in cui la buca o il dissesto stradale dovuto a cattiva manutenzione, non sia visibile ed evitabile da parte dell’utente della strada con l’ordinaria diligenza.

Di conseguenza, più la buca è grande e quindi visibile, e più difficile sarà ottenere il risarcimento.

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Danno cagionato da incidente in condominio

Spesso accade che, all’interno di un condominio, un soggetto subisce un infortunio a causa di un’insidia dovuta ad una scarsa o inadeguata manutenzione degli impianti e delle aree comuni.

Tra le casistiche più frequenti che vedono il condominio coinvolto in richieste di risarcimento danni per mancata custodia ritroviamo le cadute accidentali dovute a:

  • scale scivolose;
  • scale poco illuminate;
  • spegnimento della luce temporizzata;
  • gradini sconnessi;
  • dislivello tra la cabina dell’ascensore ed il piano di arresto;
  • cortili con pavimentazione sconnessa;
  • presenza di buche o altre insidie nelle aree comuni.

Chi ha la responsabilità dell’evento dannoso?

Generalmente il condominio, in quanto custode dell’edificio, è tenuto ad evitare ogni situazione di pericolo prevedibile ed è quindi ritenuto responsabile dei danni alle persone (condomini e soggetti terzi) e alle cose arrecati dalle parti comuni dell’immobile.

La norma di riferimento è l’articolo 2051 del codice civile, che sancisce: “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva (senza colpa o dolo), in cui i danni vengono imputati al custode (il condominio) per il solo fatto che avendo la disponibilità materiale dei beni comuni, è nelle condizioni di poterli controllare e di intervenire tempestivamente in caso di pericolo.

È possibile anche configurare una responsabilità personale dello stesso amministratore, in solido con il condominio, per i danni riconducibili a mancata custodia dei beni comuni, poiché lo stesso ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla loro custodia, con il conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi o agli stessi condomini.

La Corte di Cassazione infatti precisa, con ordinanza n. 6292 del 4 marzo 2019, che le responsabilità possono essere sia di natura contrattuale (l’amministratore è responsabile per gli obblighi contrattuali che ha nei confronti del condominio), sia di natura extra contrattuale (il condominio risponde nei confronti del terzo danneggiato per la mancata custodia della cosa che ha causato l’evento dannoso).

Pertanto il soggetto danneggiato agirà direttamente verso il condominio per responsabilità extracontrattuale, che a sua volta potrà esercitare l’azione di rivalsa nei confronti dell’amministratore, per i danni che sarà stato costretto a risarcire ai terzi danneggiati.

In caso di evento lesivo, il soggetto che si ritiene danneggiato deve limitarsi a fornire la prova del rapporto causale tra l’evento dannoso e la cosa in custodia.

Il custode (condominio) potrà liberarsi da responsabilità soltanto fornendo la prova del caso fortuito, ossia un evento imprevedibile, inevitabile ed esterno alla sua condotta, idoneo ad interrompere il rapporto causa-effetto tra evento dannoso e cosa in custodia.

La nozione di caso fortuito può essere individuata negli eventi naturali, nel comportamento di un terzo o nella condotta negligente dello stesso danneggiato.

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Risarcimento danni per caduta in un locale pubblico

Scivolare su un pavimento bagnato, cadere da uno scalino difettoso o ferirsi a causa di un oggetto che cade da uno scaffale, sono alcuni degli infortuni più comuni che possono capitare in un locale pubblico come un negozio, un bar, un supermercato, un ristorante, un hotel.

Il proprietario (o gestore) è tenuto a fare in modo che il locale non presenti fonti di pericolo che possano creare danni agli avventori.

Di conseguenza, in linea generale, risponde di tutti i danni arrecati a terzi dai beni posti sotto la propria vigilanza.

A sancirlo è l’articolo 2051 del codice civile, che recita: “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Per caso fortuito si intende un evento imprevedibile ed inevitabile ed estraneo alla condotta del custode.

La giurisprudenza valuta fortuito anche il caso di una condotta negligente del soggetto danneggiato, il quale, ad esempio per distrazione, può aver causato il danno.

Affinché vi sia la responsabilità del proprietario o gestore dell’esercizio pubblico, il danno deve essere provocato da un’insidia”, ovvero nell’ipotesi in cui la situazione di pericolo non sia né visibile né adeguatamente segnalata.

Alcuni esempi di insidia possono essere: residui di cibo o liquidi scivolosi sul pavimento, ostacoli lasciati sul pavimento che causano degli inciampi, sporgenze pericolose non segnalate, gradini traballanti, ecc….

I danni, quindi, per essere considerati risarcibili devono essere provocati da un pericolo non visibile e non prevedibile.

Ne consegue che tanto più è evidente il pericolo, tanto meno possibilità ci saranno di ottenere il risarcimento del danno.

Al fine di ottenere un risarcimento, al danneggiato sarà sufficiente provare il nesso causale fra la condotta negligente del custode e l’evento dannoso.

Il custode (proprietario o gestore) invece avrà l’onere di dimostrare che l’evento sia accaduto per un caso fortuito.

Il proprietario quindi verrà considerato non responsabile qualora fosse evidente che l’evento lesivo si è verificato nonostante sia stata applicata la massima vigilanza, nonchè siano state adottate tutte le norme di sicurezza e le cause scatenanti l’incidente siano da ricondurre esclusivamente nella disattenzione o nel comportamento non adeguato dell’avventore.

Tuttavia la dinamica dell’incidente non è sempre giudicabile in maniera univoca e delle volte si può configurare un concorso di colpa tra i soggetti interessati, quando ad esempio una maggior prudenza da parte del soggetto danneggiato avrebbe quantomeno ridotto l’entità del danno.

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Risarcimento per danni cagionati da animali

La responsabilità per danni cagionati da animali è disciplinata dall’art. 2052 del Codice Civile, che così recita: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

La norma è spesso associata alla responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.) e trattata alla stessa stregua. Identici sono infatti:

  • i presupposti delle due norme: in entrambi rileva l’esistenza di un rapporto di custodia, con la differenza che nel primo la custodia riguarda “cose” e nel secondo “animali”;
  • l’onere della prova: il custode può essere liberato da responsabilità solo se prova il caso fortuito.

Secondo la tesi del rapporto di custodia, è da ritenersi responsabile chiunque abbia il potere effettivo e quindi di controllo sull’animale. Di conseguenza sarebbe ritenuto responsabile degli eventuali danni cagionati chiunque, a qualunque titolo, custodisca l’animale.

Si tratta di un’ipotesi di “responsabilità oggettiva“, fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l’animale, ovvero per il solo fatto di possederlo o utilizzarlo. Pertanto al proprietario (o all’utilizzatore) dell’animale che ha causato il danno, per andare esente da responsabilità, non è sufficiente fornire la prova della propria assenza di colpa.

A nulla rileva la diligenza nella custodia dell’animale o l’aver provato di aver fatto il possibile per evitare il danno; il proprietario o l’utilizzatore sarà ritenuto comunque responsabile.

Per essere liberato da responsabilità, il proprietario o l’utilizzatore dell’animale deve fornire la prova che il danno è stato causato da un evento fortuito, ossia dall’intervento di un fattore esterno imprevedibile, inevitabile, di assoluta eccezionalità idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo

Ciò significa che il soggetto danneggiato, per essere risarcito, deve semplicemente provare il nesso causale, ovvero che il danno è collegato direttamente al comportamento dell’animale, senza essere tenuto a dimostrare che il proprietario è venuto meno al suo obbligo di custodia.

Sarà invece compito del proprietario provare che il fatto è avvenuto per un evento eccezionale ed imprevedibile (caso fortuito) e tale da impedire qualunque forma di controllo sull’animale stesso.

Si tratta di una prova particolarmente difficile, perché il caso fortuito viene solitamente considerato un evento non associato al comportamento dell’animale.

Tale prova infatti non si può risolvere nel fatto improvviso e imprevedibile dell’animale, in quanto l’imprevedibilità è comunemente considerata una sua caratteristica connaturata, né che l’animale in precedenza sia sempre stato mansueto.

Così come non ha rilievo che la vittima possa aver tenuto un atteggiamento che abbia in qualche modo contribuito a scatenare l’aggressività dell’animale, perché l’obbligo di protezione e controllo si estende ai comportamenti imprudenti altrui, in quanto la colpa della vittima che tenga un comportamento imprudente può, al più, concorrere con quella del garante ma non eliderla (Cass. pen., Sez. IV, 30/06/2022, n. 37183).

Il danno causato dalla fauna selvatica

In caso di danno causato da fauna selvatica, il risarcimento va richiesto all’Ente (solitamente la provincia) al quale è stato affidato il controllo del territorio e quindi degli animali selvatici ivi presenti.

Tuttavia all’Ente non si applica il regime severo previsto per il proprietario dell’animale domestico. Infatti per quanto riguarda gli animali selvatici, si deve fare riferimento a norme diverse rispetto a quelle previste per gli animali domestici.

Perché possa parlarsi di responsabilità dell’Ente occorrerà dimostrare che lo stesso ha una qualche forma di colpa per non aver osservato le dovute cautele atte ad impedire che i terzi venissero esposti al pericolo (ad esempio non esponendo lungo la strada dei cartelli di pericolo che segnalano la presenza nell’area di animali selvatici).

Inoltre, nel caso di sinistri stradali causati da animali selvatici, il soggetto danneggiato, per avere diritto al risarcimento dei danni, dovrà provare di avere tenuto una condotta di guida prudente e aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

 

Infortunio sul lavoro

Per infortunio sul lavoro si intende un evento improvviso che si verifica per causa violenta nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa; che causa al lavoratore un danno all’integrità psicofisica e da cui derivi un’inabilità al lavoro permanente, assoluta o parziale, o l’invalidità temporanea assoluta o la morte del lavoratore.

Dunque gli elementi necessari che devono sussistere affinché un evento possa essere considerato infortunio sul lavoro sono:

  • l’occasione di lavoro;
  • la causa violenta;
  • la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore.

L’Ente pubblico che eroga le prestazioni economiche ed assistenziali ai lavoratori infortunati è l’INAIL.

In caso di infortunio sul lavoro il lavoratore deve tempestivamente comunicare o far avvisare, nel caso in cui non potesse, il proprio datore di lavoro.

Dopodiché, deve recarsi obbligatoriamente presso un medico, che può essere, a seconda dei casi, il medico dell’Azienda, un operatore di Pronto soccorso oppure il medico curante.

Il medico quindi rilascia un certificato medico, nel quale indica la diagnosi ed il numero dei giorni di inabilità temporanea assoluta al lavoro.

Il medico deve poi fornire al datore di lavoro il certificato anche se l’infortunio è di lieve entità. In caso di ricovero ospedaliero, provvede direttamente la struttura a trasmettere il certificato sia al datore di lavoro sia all’INAIL.

Il datore di lavoro, a sua volta, ha l’obbligo di comunicare la denuncia di infortunio all’INAIL entro 2 giorni dalla ricezione del certificato medico.

Una volta che l’INAIL ha ricevuto la denuncia dal datore di lavoro, valuta l’entità dell’infortunio e quantifica il danno biologico in base al grado di inabilità che comporta.

Per effettuare la valutazione l’INAIL utilizza la “tabella delle menomazioni”, che indica l’incidenza sull’integrità psicofisica del soggetto danneggiato.

In base al risultato di questa valutazione, l’INAIL provvede a erogare le relative prestazioni assistenziali.

Inabilità temporanea assoluta

In caso il lavoratore presenta inabilità temporanea assoluta, l’INAIL eroga un’indennità sostitutiva della retribuzione, a decorrere dal quinto giorno dalla data dell’infortunio, compresi i giorni festivi, fino a completa guarigione.

I primi quattro giorni sono a carico del datore di lavoro, il quale paga la retribuzione completa del giorno dell’infortunio e il 60% della retribuzione per i tre giorni successivi.

L’INAIL eroga l’indennità giornaliera nella misura del:

  • 60% della retribuzione dal 5° al 90° giorno dalla data dell’infortunio;
  • 75% della retribuzione dal 91° giorno fino alla guarigione clinica.
  • Danno biologico permanente

Se l’infortunio sul lavoro causa al lavoratore un danno biologico sotto forma di invalidità permanente, viene riconosciuta dall’INAIL un’indennità in capitale o in forma di rendita vitalizia, in base ai seguenti criteri:

  • qualora dall’infortunio sia conseguito un danno biologico permanente inferiore al 6%, al lavoratore non è riconosciuto nessun tipo di indennizzo da parte dell’INAIL. In questo caso il lavoratore danneggiato ha diritto a chiedere il risarcimento di tutti i danni subiti direttamente al datore di lavoro, a condizione che lo stesso sia ritenuto responsabile dell’infortunio;
  • qualora dall’infortunio sia conseguito un danno biologico permanente compreso tra il 6% ed il 15% dell’integrità psicofisica, l’INAIL provvede ad erogare un indennizzo, in un’unica soluzione, in funzione del grado di menomazione accertato e dell’età del danneggiato.
  • qualora dall’infortunio sia conseguito un danno biologico permanente superiore al 15%, l’indennizzo corrisponde ad una rendita diretta, che viene erogata mensilmente ed è calcolata sulla base:
    • del danno biologico subito;
    • della ridotta capacità del lavoratore a produrre reddito (c.d. perdita della capacità lavorativa).

Infine, se il lavoratore a causa dell’infortunio sul lavoro, perde la vita, l’INAIL eroga un indennizzo, in forma di rendita, agli aventi diritto e un assegno funerario.

Se il lavoratore non ritiene corretta la valutazione effettuata dall’INAIL, può presentare opposizione entro tre anni. Se la contestazione non va a buon fine, il lavoratore può presentare, con l’assistenza di un Avvocato, ricorso giudiziale presso il Tribunale del Lavoro.

Può accadere che l’infortunio si sia verificato nonostante il datore di lavoro abbia rispettato tutte le normative in materia di sicurezza e che l’incidente sia avvenuto per colpa esclusiva del lavoratore stesso per distrazione o imprudenza.

Anche in queste evenienze l’INAIL garantisce l’erogazione delle prestazioni economiche, purchè la causa dell’infortunio sia riconducibile all’ambito delle finalità lavorative e non personali.

Infortunio in itinere

I lavoratori sono tutelati dall’INAIL non solo per gli eventuali infortuni che possono avvenire nel luogo deputato allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma anche per gli eventuali infortuni “in itinere”.

Con tale espressione si fa riferimento all’infortunio occorso al lavoratore lungo il percorso:

  • casa-lavoro;
  • tra due luoghi di lavoro;
  • dal luogo di lavoro al luogo per la pausa pranzo.

Deve quindi sussistere un nesso causale tra l’itinerario seguito e l’attività lavorativa.

L’infortunio in itinere, per essere indennizzabile, si deve essere verificato percorrendo il tragitto con i mezzi pubblici o a piedi. L’indennizzo è riconosciuto anche nel caso in cui il soggetto abbia scelto un mezzo privato, ma solo se questa decisione è strettamente necessaria.

Inoltre, al fine di essere riconosciuto come infortunio sul lavoro, è indispensabile che il lavoratore segua l’itinerario più breve e diretto, diversamente si avrà una “rottura del nesso causale”.

Esistono comunque delle eccezioni alla regola, quando per esempio il lavoratore è costretto ad una deviazione del tragitto più diretto a causa di una interruzione o deviazione.

Anche la deviazione dal tragitto casa-lavoro compiuta al fine di accompagnare i figli a scuola è riconosciuta e oggetto di indennizzo.

Il danno differenziale

Nel caso in cui l’infortunio sul lavoro sia avvenuto a causa di una condotta colposa del datore di lavoro (per esempio per non aver osservato le norme sulla sicurezza) o di un altro dipendente, il lavoratore infortunato, oltre all’indennizzo erogato dall’INAIL, ha diritto ad ottenere dal datore di lavoro il risarcimento di tutti i danni subiti (patrimoniali e non patrimoniali), ovvero il risarcimento del “danno differenziale”.

Le prestazioni economiche erogate dall’INAIL costituiscono un “indennizzo” e quindi non compensano integralmente tutte le conseguenze che possono essere derivate da un infortunio sul lavoro.

Per danno differenziale si intende quindi la differenza tra quanto corrisposto al lavoratore infortunato a titolo di indennizzo dall’INAIL e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, in sede civilistica, ogniqualvolta l’infortunio sia prodotto da un comportamento colposo del datore di lavoro o dei suoi dipendenti.

Il danno differenziale, in pratica, si compone di tutti quei pregiudizi che non rientrano nell’ambito dell’indennizzo erogato dall’INAIL:

  • danno biologico temporaneo;
  • danno biologico permanente inferiore al 6%;
  • danno morale (turbamento dello stato d’animo);
  • danno esistenziale (inteso come pregiudizio che altera le abitudini e gli assetti relazionali di una persona, determinando concreti cambiamenti in senso peggiorativo nella qualità della vita);
  • danno patrimoniale (sia le spese vive sostenute che il mancato guadagno).

Per ottenere la liquidazione del danno differenziale da parte del datore di lavoro, il lavoratore ha l’onere di dimostrare:

  • l’esistenza del rapporto di lavoro;
  • il danno subito;
  • il nesso causale tra l’evento dannoso e il comportamento del datore di lavoro.

Il datore di lavoro per essere esonerato dal pagare il risarcimento del danno deve dimostrare:

  • di aver rispettato tutti gli obblighi in tema di sicurezza;
  • di aver fatto tutto il possibile per evitare il verificarsi dell’infortunio, fornendo la prova liberatoria che il danno dipende da una causa a lui non imputabile.

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