Straining sul lavoro: cos’è, quando si verifica e come difendersi

Lo straining è una forma subdola e insidiosa di disagio lavorativo che può avere gravi ripercussioni psicologiche, fisiche e professionali sulla vittima.

Spesso confuso con il mobbing, lo straining ha caratteristiche proprie che lo rendono altrettanto dannoso ma più difficili da individuare.

In questo articolo analizzeremo:

  • Che cos’è lo straining
  • Quando si configura
  • Alcuni esempi di straining sul lavoro
  • I diritti del lavoratore vittima di straining
  • Come difendersi dallo straining
  • Le normative di riferimento

Che cos’è lo straining

Il termine straining deriva dall’inglese to strain, che significa “sforzare” o “mettere sotto pressione”.

In ambito lavorativo, si usa per indicare una situazione di stress forzato e prolungato, causata da comportamenti ostili, anche isolati, da parte del datore di lavoro, di un superiore o di colleghi.

A differenza del mobbing, che richiede una pluralità di atti vessatori ripetuti nel tempo con l’intento di emarginare la vittima, lo straining può derivare anche da un solo episodio che produce però effetti duraturi e destabilizzanti nel tempo.

Si tratta dunque di una forma attenuata di mobbing, ma non per questo meno grave.

Quando si configura

Per parlare di straining devono essere presenti alcune condizioni specifiche:

  1. Condotta ostile: può trattarsi di un atto unico o di comportamenti isolati, ma significativi.
  2. Imposizione di uno stress forzato: la condotta provoca un forte disagio psicologico e/o fisico nel lavoratore.
  3. Effetti protratti nel tempo: anche se l’atto ostile è isolato, le sue conseguenze devono essere durature e continuative.
  4. Assenza di pluralità sistematica: ciò che differenzia lo straining dal mobbing è l’assenza di reiterazione sistematica delle condotte nel tempo.

Secondo la giurisprudenza italiana, è sufficiente un solo episodio se questo ha effetti destabilizzanti protratti. Quindi, anche un solo atto illegittimo o vessatorio, se genera un disagio lavorativo prolungato, può configurare straining.

Esempi di straining sul lavoro

Ecco alcuni esempi pratici di straining per aiutare a identificare situazioni a rischio:

  • Demansionamento: assegnare al lavoratore compiti inferiori rispetto alla sua qualifica senza motivazioni oggettive.
  • Esclusione da riunioni o attività: isolamento ingiustificato rispetto ai processi decisionali o al team di lavoro.
  • Negazione di formazione o aggiornamento: impedire la partecipazione a corsi, workshop o percorsi di carriera.
  • Spostamento forzato: trasferimento in altra sede o ufficio con finalità punitive o immotivate.
  • Riduzione ingiustificata di responsabilità o strumenti: togliere incarichi o accessi senza spiegazioni.
  • Silenzio organizzativo: comunicazione minima o nulla, tale da generare senso di esclusione.

Questi atti possono apparire singoli e non ripetuti, ma il loro impatto sulla stabilità emotiva e professionale del lavoratore può essere molto rilevante.

Diritti del lavoratore vittima di straining

In presenza di straining, il lavoratore ha diversi strumenti legali a disposizione per tutelarsi:

  1. Tutela della salute e dignità: l’art. 2087 del Codice Civile obbliga il datore di lavoro a garantire condizioni di lavoro sicure e rispettose della dignità personale.
  2. Richiesta di risarcimento del danno: la vittima può chiedere un risarcimento per danno biologico (fisico e/o psicologico), danno morale e danno esistenziale.
  3. Tutela in sede sindacale e ispettiva: è possibile rivolgersi al sindacato o segnalare la situazione all’Ispettorato del Lavoro.
  4. Tutela in sede giudiziaria: in caso di gravi violazioni, si può agire in giudizio civile o anche penale, qualora emergano reati.

Come difendersi dallo straining

Difendersi dallo straining non è semplice, soprattutto perché può essere difficile da dimostrare.

Tuttavia, ci sono azioni concrete che un lavoratore può intraprendere:

  1. Raccogliere prove: è fondamentale documentare ogni episodio:
    • Email, messaggi, documenti ufficiali
    • Verbali di riunioni
    • Testimonianze di colleghi
  2. Consultare il medico del lavoro o il medico di base: in caso di sintomi da stress, è utile avere una certificazione medica che attesti le condizioni psicofisiche del lavoratore. Può essere anche richiesto un accertamento tramite il medico competente aziendale.
  3. Rivolgersi a un avvocato esperto in diritto del lavoro: un legale specializzato potrà valutare la situazione e proporre azioni legali adeguate, al fine di richiedere la cessazione della condotta lesiva o per ottenere un risarcimento.
  4. Coinvolgere il sindacato: i rappresentanti sindacali possono supportare il lavoratore nella fase preliminare e nella tutela dei propri diritti.
  5. Segnalazione all’Ispettorato del Lavoro: un’ispezione può far emergere comportamenti irregolari da parte del datore di lavoro o dei superiori.

Le normative di riferimento

Nonostante lo straining non sia esplicitamente regolamentato da una legge specifica, esistono diversi riferimenti normativi e giurisprudenziali che lo tutelano indirettamente:

  1. Art. 2087 Codice Civile: impegna il datore di lavoro a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore.
  2. Costituzione Italiana:
    • Art. 32: tutela della salute come diritto fondamentale.
    • Art. 41: l’attività economica privata non può svolgersi in contrasto con la dignità umana.
    • Art. 3: principio di uguaglianza e non discriminazione.
  3. Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/2008): prevede l’obbligo del datore di lavoro di valutare anche i rischi da stress lavoro-correlato.
  4. Sentenze di Cassazione: numerose sentenze hanno riconosciuto e condannato lo straining come comportamento lesivo della dignità del lavoratore, attribuendo responsabilità risarcitorie ai datori di lavoro.

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